L’evoluzione dei motori di scacchi: dai tempi di Turing ad AlphaZero
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Gli scacchi affascinano l’umanità da secoli, un gioco di strategia e intelletto che ha sedotto menti brillanti di ogni epoca. In questo articolo ripercorriamo allora l’evoluzione di questi “cervelli elettronici”, dal rudimentale programma ideato da Alan Turing fino agli impressionanti motori neurali come AlphaZero, evidenziando come hanno segnato definitivamente il modo di giocare e studiare gli scacchi.

Gli scacchi affascinano l’umanità da secoli, un gioco di strategia e intelletto che ha sedotto menti brillanti di ogni epoca. Persino figure illustri come Albert Einstein sono state conquistate dal fascino degli scacchi, e Dante Alighieri li ha citati nella Divina Commedia, a riprova della loro importanza culturale e intellettuale duratura. Oggi questo gioco antichissimo vive una seconda giovinezza: si stima che oltre 600 milioni di persone al mondo sappiano giocare a scacchi, rendendolo il gioco da tavolo più popolare in assoluto, e le piattaforme online registrano continui record di partecipazione. Il sito chess.com, ad esempio, ha superato i 170 milioni di membri iscritti, segno di un interesse sempre crescente alimentato da tornei in streaming, community globali e nuove tecnologie che rendono gli scacchi accessibili ovunque e a chiunque.

In questo contesto di entusiasmo ritrovato, un ruolo importante è dovuto allo sviluppo di motori scacchistici sempre più performanti, ossia programmi per computer in grado di giocare a scacchi. Dalle prime idee pionieristiche di metà Novecento ai moderni algoritmi di Intelligenza Artificiale, i motori hanno completamente rivoluzionato il modo di intendere il gioco degli scacchi. In questo articolo ripercorriamo allora l’evoluzione di questi “cervelli elettronici”, dal rudimentale programma ideato da Alan Turing fino agli impressionanti motori neurali come AlphaZero, evidenziando come hanno segnato definitivamente il modo di giocare e studiare gli scacchi.

I primi rudimentali motori: Alan Turing e Claude Shannon

L’idea di creare un programma in grado di giocare a scacchi nasce quasi in parallelo all’invenzione dei primi computer. Negli anni ’40, il matematico britannico Alan Turing – considerato uno dei padri dell’informatica moderna – fu tra i primi a esplorare questa possibilità. Nel 1948 Turing, insieme all’amico David Champernowne, sviluppò Turochamp, quello che può essere definito il primo prototipo di motore scacchistico. Si trattava di un algoritmo concepito su carta, dato che all’epoca non esisteva un computer sufficientemente potente su cui eseguirlo. Durante le dimostrazioni, Turing simulava manualmente il funzionamento del programma, che richiedeva anche mezz’ora di calcoli per scegliere una singola mossa! Va sottolineato che l’obiettivo di Turing non era creare un giocatore imbattibile, bensì tradurre il proprio modo di pensare scacchistico in istruzioni automatiche. Era un esperimento visionario, limitato dalla tecnologia del tempo, ma che gettò le basi per tutto ciò che sarebbe venuto in seguito.

Parallelamente, negli Stati Uniti, un altro pioniere gettava fondamenta teoriche importanti. Claude Shannon, celebre matematico e padre della teoria dell’informazione, pubblicò nel 1950 il primo articolo tecnico sul gioco degli scacchi giocato da un computer . Il suo lavoro, intitolato “Programming a Computer for Playing Chess”, delineava i principi di base su come un calcolatore avrebbe potuto analizzare mosse e strategie (come il cosiddetto algoritmo minimax e il concetto di “potatura” delle mosse non promettenti). Pur essendo uno studio teorico – Shannon non implementò mai un programma completo in quel momento – esso introdusse idee chiave come la stima della complessità astronomica del gioco (il famoso numero di Shannon, circa 10^120 possibili partite) e le prime strategie per ridurre le mosse da esaminare. Gli studi di Turing e Shannon, ciascuno a suo modo, segnarono la nascita dei motori scacchistici: l’uno dimostrando che un computer avrebbe potuto giocare, l’altro indicando come farlo.

Dalla teoria al silicio: verso Deep Blue e la sfida con Kasparov

Negli anni successivi, con l’evoluzione dell’informatica, iniziarono a comparire i primi programmi di scacchi realmente funzionanti. Già nei decenni ’60 e ’70, ricercatori e appassionati svilupparono software sempre più sofisticati, man mano che i computer diventavano abbastanza potenti da reggere la complessità del gioco. Un punto di svolta si ebbe negli anni ’80, quando alcuni motori iniziarono a competere quasi alla pari con i giocatori umani. Belle, sviluppato da Ken Thompson e Joe Condon, fu nel 1983 il primo computer a raggiungere il livello di un maestro di scacchi (Elo ~2250) . In quegli stessi anni nacquero anche i primi tornei fra computer, e motori come Deep Thought dimostrarono prestazioni eccezionali. Proprio Deep Thought, evoluzione di un progetto universitario di Carnegie Mellon, vinse il Campionato Mondiale di Scacchi per Computer nel 1989, attirando l’attenzione di IBM . Il colosso informatico decise di investire pesantemente nel settore e arruolò gli ideatori di Deep Thought per costruire un nuovo motore su hardware dedicato: stava nascendo Deep Blue.

Deep Blue era un mostro di potenza computazionale per l’epoca: consisteva in un supercomputer IBM costruito con 480 processori specializzati che analizzavano posizioni in parallelo, riuscendo a valutare fino a 200 milioni di mosse al secondo . Grazie a questa forza bruta di calcolo unita a un sofisticato programma di ricerca delle mosse, Deep Blue riuscì dove nessun computer aveva osato spingersi prima. Nel maggio 1997, a New York, la macchina IBM affrontò il Campione del Mondo in carica, Garry Kasparov, in un match ufficiale di sei partite. L’evento ebbe una risonanza mediatica enorme: dopo una lunga battaglia, Deep Blue sconfisse Kasparov con il punteggio di 3½–2½, diventando il primo computer della storia a battere il campione mondiale di scacchi in un match regolamentare . La sconfitta di Kasparov fece scalpore anche al di fuori del mondo scacchistico, simbolizzando il sorpasso dell’intelligenza artificiale sull’uomo almeno in questo dominio. Quella vittoria rappresentò una pietra miliare e l’inizio di una nuova era in cui i motori scacchistici avrebbero dominato incontrastati la scena internazionale . Dopo il match, lo stesso Kasparov ammise che “se non puoi batterli, unisciti a loro” – frase profetica di come l’approccio dei giocatori verso i computer sarebbe cambiato da lì in avanti.

L'era dei motori moderni

Dalla fine degli anni ’90 in poi, i progressi nell’hardware e negli algoritmi hanno reso i motori di scacchi praticamente imbattibili per qualsiasi essere umano. L’aumento della potenza di calcolo (microprocessori sempre più veloci, calcolo parallelo, GPU dedicate) ha permesso ai programmi di analizzare milioni di posizioni al secondo, mentre l’integrazione di enormi database di aperture teoriche e finali (le tablebase) consente loro di giocare mosse perfette in molte situazioni già studiate . In poco tempo, i migliori motori hanno superato di gran lunga anche i grandi maestri: basti pensare che oggi Stockfish, uno dei motori più forti al mondo, ha raggiunto un punteggio Elo di circa 3530 punti, mentre il campione mondiale Magnus Carlsen si aggira “solo” attorno ai 2830 . Stockfish – motore open source nato nel 2008 e sviluppato dalla comunità internazionale – ha dominato le competizioni per motori (come il Top Chess Engine Championship) e continua a migliorare di anno in anno. Inizialmente basato sul “classico” approccio di ricerca brute-force con raffinati parametri artigianali, questo motore ha saputo evolversi ulteriormente abbracciando anche tecniche moderne: dal 2019 gli sviluppatori hanno introdotto reti neurali efficienti (tecnologia NNUE) come parte del suo sistema di valutazione, tanto che dal 2023 Stockfish ha completamente sostituito le vecchie funzioni di valutazione con una rete neurale addestrata su miliardi di posizioni . In altre parole, anche il motore tradizionale più forte al mondo ha integrato l’intelligenza artificiale al suo interno, combinando il meglio di due mondi – la velocità di calcolo e la conoscenza acquisita dai dati – per raggiungere livelli di gioco impensabili per l’uomo.

Ma il vero salto “evolutivo” nell’ultima decade è arrivato grazie a un approccio radicalmente diverso. Nel 2017 la società DeepMind stupì il mondo con AlphaZero, un programma di intelligenza artificiale capace di imparare a giocare a scacchi da solo. A differenza dei motori classici che si basavano su decenni di conoscenza umana codificata in parametri, AlphaZero partiva da zero: conosceva solo le regole del gioco, e tramite una tecnica di reinforcement learning ha giocato milioni di partite contro sé stesso per ottimizzare le proprie strategie. Il risultato? In sole 24 ore di auto-apprendimento, questo motore ha raggiunto un livello di gioco sovrumano negli scacchi (oltre che in altri giochi come lo shogi e il go), sviluppando uno stile creativo e potente che ha ricordato a molti quello dei grandi attaccanti del passato. Subito dopo, AlphaZero ha sfidato Stockfish – allora il più forte motore esistente – e lo ha surclassato in un match dimostrativo, ottenendo una vittoria schiacciante che ha sconvolto ogni precedente certezza. Era la prova che un approccio basato sull’intelligenza artificiale pura (reti neurali profonde e auto-apprendimento) poteva non solo competere, ma addirittura superare i migliori programmi costruiti dall’uomo. Questo risultato ha aperto la strada a una nuova generazione di motori “ibridi”: progetti come Leela Chess Zero hanno riprodotto l’approccio di AlphaZero in chiave open source, mentre altri motori tradizionali hanno iniziato a incorporare componenti neurali. La frontiera dei motori di scacchi è ormai un connubio di AI e potenza computazionale, in continua evoluzione.

Motori e scacchi oggi: come cambiano studio, allenamento e visione di gioco

L’ascesa dei motori di scacchi ha avuto un impatto profondo sul modo in cui giocatori di ogni livello si avvicinano al gioco e lo migliorano. Siamo giunti al punto che, non potendo più competere contro di essi sul piano della forza bruta, i giocatori umani hanno imparato ad allearsi con i computer. I motori sono diventati compagni inseparabili nello studio: grazie alla loro incredibile velocità di calcolo, possono analizzare una partita in modo molto più dettagliato e rapido di quanto potrebbe fare un essere umano (basti pensare che analizzano milioni di posizioni in pochi secondi), evidenziando errori e opportunità con una precisione impareggiabile . Oggi i motori di scacchi sono strumenti essenziali per i giocatori di tutti i livelli nel loro percorso di miglioramento . Un utilizzo fondamentale è l’analisi post-partita: dopo aver giocato una partita, è prassi caricare le mosse su un motore per ottenere immediatamente una valutazione di ogni posizione e mossa chiave. In questo modo, il giocatore può identificare gli errori commessi e le mosse migliori che ha mancato, facendo tesoro di queste informazioni per non ripeterli in futuro . Allo stesso tempo, i motori sono preziosi per studiare le aperture e preparare novità teoriche: basta impostare una determinata variante e il programma esplora rapidamente tutte le continuazioni plausibili, indicando quelle più promettenti. Anche idee tattiche o posizionali possono essere testate con l’aiuto dell’engine, che funge da sparring partner instancabile e onesto nei giudizi. In breve, l’allenamento moderno di un giocatore di scacchi – sia esso un principiante o un grande maestro – passa quasi inevitabilmente dall’uso dei motori come coach virtuali, capaci di evidenziare punti deboli e suggerire miglioramenti in ogni fase della partita .

Questa rivoluzione ha cambiato anche il modo di apprezzare il gioco stesso. Da un lato, la disponibilità di analisi così approfondite ha elevato la comprensione generale: concetti una volta oscuri ora possono essere studiati al microscopio, e le partite tra computer di altissimo livello mostrano combinazioni e strategie che ampliano gli orizzonti teorici degli scacchi. Motori come AlphaZero hanno persino risvegliato l’interesse per un gioco d’attacco creativo e dinamico, mostrando linee che gli umani non avevano mai considerato e dando nuova linfa a varianti un tempo trascurate. D’altro canto, c’è chi teme che un eccesso di dipendenza dai motori possa ridurre la creatività individuale dei giocatori: se ogni decisione viene consultata con il computer, il rischio è di appiattire lo stile personale in favore delle scelte “raccomandate” dal motore . In realtà, molti grandi campioni sostengono che i motori abbiano arricchito il gioco anziché impoverirlo, spingendo la comprensione umana a nuovi livelli e costringendo i giocatori a diventare ancora più precisi e versatili. La vera sfida per i giocatori moderni consiste nel trovare un equilibrio: utilizzare i motori come potenti strumenti didattici per lo studio e l’analisi, senza però rinunciare alla propria inventiva e fantasia sulla scacchiera . Dopo tutto, gli scacchi restano un meraviglioso connubio tra arte e scienza, dove l’intuizione umana può ancora fare la differenza nell’interpretare consigli del computer e nel prendere decisioni in condizioni pratiche di gioco, con tempo limitato e pressione psicologica.

Conclusione

Dall’algoritmo su carta di Alan Turing fino all’intelligenza artificiale di AlphaZero, la storia dei motori scacchistici è un viaggio straordinario attraverso decenni di progresso tecnologico e ingegno umano. Oggi uomini e macchine non sono più avversari irriducibili, ma partner che si aiutano a vicenda per esplorare la profondità quasi infinita del gioco degli scacchi. Il fascino degli scacchi rimane intatto – anzi, cresce alimentato da nuove scoperte – e ogni partita, sia essa giocata tra due persone o tra due computer, continua a regalarci emozioni e conoscenza. E tu, cosa ne pensi? L’avvento dei motori ha aumentato il tuo apprezzamento per gli scacchi o rimpiangi i tempi in cui ci si affidava solo al proprio ingegno sulla scacchiera?

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